Canyon del Colca

Canyon del Colca fai da te

A parte i condor, non mi ha fatto impazzire. Avrei potuto andare alla Cruz del Condor direttamente in giornata, ma è un po’ una tirata, si parte da Arequipa alle 3 del mattino e si rientra la sera stessa.

Ci sono vari tipi di escursione, io ho scelto quella “comoda”, in pulmino, perché poi c’è quella dove invece si deve fare trekking. I prezzi sono più o meno gli stessi in tutte le agenzie attorno alla Plaza de Armas di Arequipa, dipende però dall’albergo che si sceglie.

Io ho detto che volevo spendere il meno possibile, e quindi mi hanno sistemato nella fascia più “basic”. Attenzione: a Chivay molti alberghi non hanno il riscaldamento, quindi, piuttosto che chiedere all’agenzia, che potrebbe anche raccontare balle, è meglio verificare le recensioni on line.

Io ho scelto, direi a caso, Wayra Travel Expedition, costo 75 Sol. La cifra menzionata non comprende il boleto turistico (70 Sol), l’ingresso ai bagni termali nei dintorni di Chivay, ed i pasti. Non mi hanno applicato nessun supplemento singola.

Oltre al freddo, altro aspetto potenzialmente negativo con cui bisognerà forse fare i conti è l’altura. Si parte da Arequipa a 2500 mt, e si raggiunge Chivay che è a quota 3600, passando per un punto panoramico che sfiora i 4900. Io arrivando da Puno e dalla Bolivia non ho avuto problemi. Già poco dopo Arequipa la guida ha consigliato a tutti di comprare foglie di coca, ma devo rilevare che comunque alcuni sono stati male (mal di testa, vomito, sangue dal naso, addirittura un ragazzo è rimasto bloccato in albergo e non è rientrato con noi).

La nostra guida, Patricia, si è rivelata essere competente, e molto disponibile a soddisfare le nostre curiosità.

Poco dopo essere partiti, ci siamo fermati in un negozietto, di proprietà di suoi amici, immagino, dove chi voleva ha acquistato coca. Chi non l’ha fatto, ne è stato comunque gentilmente omaggiato da Patricia che ha dato fondo alla sua dose personale, spiegando a tutti quanto se ne usa (5 foglie), come si arrotolano (inserendo una pietruzza che dà un sapore leggermente addolcente), e come si tengono in bocca (senza masticarle, e semplicemente deglutendo il succo). Alcuni comunque, come dicevo, sono stati molto male lo stesso. Ripresa la nostra via, tutti sono stati invitati ad usare la coca, in modo da poterne sentire gli effetti al raggiungimento dei 4900 mt. Prima di ciò, tuttavia, abbiamo effettuato altre due tappe, una alla Riserva di Aguada Blanca dove abbiamo incrociato delle vigogne,

e poi ad un ristorantino sperso nel nulla dove si è bevuto mate (di coca, ovviamente), e trimate (coca, muña e chachacoma), costo 4 Sol. Ho provato il trimate, più per curiosità che per necessità. A dire il vero ero anche assetata…

Anche la muña fa bene per il soroche, ma più di tutto ne sono ghiotta perché ha un profumo ed un sapore buonissimi, a metà fra menta, origano, e timo. La coca invece non saprei descrivere, comunque sa di poco, tipo fieno, e infusa nell’acqua calda non mi ha procurato nessun effetto strano…

La terza sosta è ad un mirador da dove si possono vedere diversi vulcani (Ampata 6288 mt, Sabancaya 5976 mt, Hualca Hualca 6025 mt). Siamo a 4900 mt, e fa un freddo becco.

La discesa verso Chivay è spettacolare. Il Canyon del Colca è il secondo al mondo per profondità. Purtroppo il bus non fa soste, e la strada è molto dissestata, per cui è difficile fotografare.

Arriviamo a Chivay, non seguo il gruppo che fa un pranzo a buffet, e divoro una zuppa di formaggio e quinoa in un comedor nei paraggi, ma mi fa pagare 18 Sol ed è un furto. Colpa mia che non mi sono informata prima di ordinare.. La mia camera si trova nello stesso hotel che ha organizzato il buffet. E’ fredda, e non molto pulita. Per fortuna ci devo stare poco perché dopo poco il pulmino passa di nuovo a prendermi per andare alle sorgenti termali di Tambo. Perdiamo un sacco di tempo a raccogliere tutti i partecipanti ai vari hotel, e raggiungiamo i bagni che sono già le 16.

Zero voglia di spogliarmi e mettermi nell’acqua. Tira vento e l’aria è pungente. Pago comunque l’ingresso (5 Sol) e vago nei dintorni, mentre alcuni dei miei compagni si immergono nelle pozze calde. La cosa più divertente è stata attraversare, rigorosamente uno alla volta, un traballante ponte di corda,  a metà strada inizia a dondolare  e provoca una sensazione di vertigine.

I sentieri sono interrotti da piccoli rigagnoli di acqua fumante, il paesaggio è piuttosto ameno, rischiarato anche, finalmente, da alcuni raggi di sole ormai prossimo al tramonto. La parte medio bassa della vallata è ricoperta di terrazzamenti coltivati, bordati da montagne dai rilievi aspri. Scavalco alcuni cartelli di divieto e capito nel curatissimo giardino di un hotel extra lusso, il Colca Lodge Spa & Hot Springs. Hanno delle vasche naturali private, e non c’è nessuno.

Rientriamo in hotel e per fortuna l’acqua della doccia è molto calda, per cui riesco a lavarmi, ma spogliarsi e rivestirsi è una impresa tragica! Aspetto l’ora di cena avvolta nel mio sacco a pelo da alta montagna. Il pasto serale non è compreso, ma, memore dell’esperienza del mezzogiorno, mi accodo di buon grado al gruppo, che ha prenotato presso “El Horno”, un locale dove si organizzano le cosiddette peñas, ossia spettacoli di canti e balli tipici, tra cui il Wititi, eseguiti da ballerini vestiti tradizionalmente. Si possono scegliere vari tipi di menù, il mio costa 20 Sol, con bevande a parte. Credo che quasi tutti i gruppi organizzati siano radunati qui, stasera.

Alcuni miei compagni di viaggio sono provati dal soroche, e mangiano pochissimo. Una signora americana ed il figlio adolescente, colpito da vomito ed emorragie al naso, sono rimasti in albergo.

La serata è divertente. Rientriamo verso le 23. Per l’ennesima volta sono grata a me stessa per essermi fatta prestare un sacco a pelo come Dio comanda.

Il mattino dopo la sveglia è fissata molto presto. Nevischia. La guida non è sicura che riusciremo a vedere i condor, per via del tempo. Arriviamo verso le 7.30 a Yanque, il paese che già ieri avevamo attraversato per arrivare ai bagni termali. Ha una graziosa piazza centrale, ed una imponente chiesa, che visitiamo.

La successiva sosta è un altro villaggio, Maca, il tempo sta migliorando e incrociamo le dita.

Dopo alcuni belvedere,

giungiamo alla Cruz del Condor, già affollatissima. Un pallido sole fa capolino. I condor si fanno vedere, per fortuna, facendosi sollevare dalle correnti d’aria calda si librano sulle nostre teste e poi planano maestosamente. Uno di essi si innalza poco sopra la mia testa togliendomi luce, e spaventandomi un po’, la sensazione è quella di avere un aliante a pochi palmi dalla testa. E’ impossibile trattenere un “oohh” . Stupore, ammirazione, sensazione di piccolezza ed inadeguatezza a cospetto di questo fiero abitante dei cieli, adorato dagli Inca e considerato messaggero degli dei.

Il rientro ad Arequipa è una scommessa: riuscirà il nostro pulmino a sfidare la fitta neve, ed anticipare il congelamento del manto stradale?  Molti dei turisti sudamericani sono entusiasti, ed al passo di 4900 mt impongono una sosta per scendere, fotografarsi, e toccarla. Anche la guida si lascia contagiare dall’atmosfera.  Evidentemente, non hanno mai passato una notte in un bus bloccato dal ghiaccio, come è successo a me qualche giorno fa sulla strada Puno-Arequipa, senza bagno, senza riscaldamento, senza dormire e senza cibo!!

Fortunatamente riusciamo a raggiungere Arequipa all’orario convenuto. La ciudad blanca, con il suo clima mite, gli edifici bianchi e la splendida piazza piena di gente mi abbraccia,  mi dà il bentornato. Come avrei voluto andare direttamente dai condor, e passare qui un giorno in più….

 

 

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